giovedì 21 aprile 2016

PENSIONI, LA BOMBA SOCIALE DEI PRECARI

A sinistra la segretaria della Cgil Susanna Camusso, a destra il presidente dell'Inps Tito Boeri
Roberto Ciccarelli

Le pensioni e il futuro. Camusso (Cgil) critica Boeri (Inps): «La previsione sulla generazione anni Ottanta costretta a lavorare fino a 75 anni rischia di far passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani». Come se non lo sapessero già. Nel 2032 il sistema contributivo andrà a regime al costo di milioni di esclusi senza tutele e una pensione dignitosa.

Per il presidente dell'Inps Tito Boeri la classe politica ha nascosto per vent'anni la situazione previdenziale agli italiani. In queste ore, finalmente, le poste invieranno l'estratto conto contributivo. La storia inizia nel 1995 con la riforma Dini. Nel 2010 Mastrapasqua, predecessore di Boeri, disse: "Se la rivelassimo, ci sarebbe un sommovimento sociale". Nel 2012 Mario Monti chiese a Elsa Fornero di sorvolare. Da oggi, forse, sarà più chiaro le diseguaglianze epocali prodotte dal sistema contributivo

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Pensioni, il cantiere è aperto. Ieri il presidente dell'Inps Tito Boeri ha incontrato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini e si è confrontato sulla flessibilità delle pensioni in vista della legge di stabilità in ottobre. Boeri intende giocare da protagonista una partita, al momento tutta concentrata sulla flessibilità in uscita e sul restyling della riforma Fornero. Molti altri sono gli aspetti di un’emergenza che rappresenta una bomba sociale pronta ad esplodere.

Le reazioni in rete alla sua uscita sulla generazione nata negli anni Ottanta, costretta a lavorare fino a 75 anni ieri sono state elettriche. Il presidente dell’Inps ha incassato le critiche del segretaria della Cgil Susanna Camusso. «Proporre così questa previsione è irragionevole, rischia di sembrare un annuncio e non una criticità da affrontare – ha detto - Rischia inoltre di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani con molti che reagiscono dicendo allora non pago più i contributi». «È proprio per evitare questa situazione che abbiamo aperto la vertenza sulle pensioni -ha aggiunto Camusso- questo è un sistema ingiusto che scarica la disoccupazione sulle spalle dei singoli e si basa solo sull'aspettativa di vita. Vedere ogni singolo aspetto come un costo impedisce una riforma complessiva del sistema che preveda investimenti che non sono costi: bisogna ricostruire il sistema per i giovani bisogna superare la differenza tra tutelati e non».

Per il segretario della Fiom Maurizio Landini «bisogna abbassare l'eta pensionabile perché questo vuol dire consentire ai giovani l'ingresso nel mondo del lavoro e il superamento del sistema puramente contributivo». Landini ha denunciato il disastro della riforma Fornero: «è stato fatto dal governo Monti e votato da tutto il parlamento – ha spiegato- una manovra totalmente sbagliata per fare cassa. Perché non solo bisogna andare in pensione prima, ma bisogna anche garantire anche ai giovani di oggi che dovranno avere un reddito che permetterà loro di vivere dignitosamente».

Posizioni che rispondono a un sentimento diffuso a sinistra e nel sindacato. Quattro anni fa, quando la riforma Fornero fu approvata, la reazione di questi mondi fu a dir poco timida. Si fecero sentire i lavoratori autonomi che ancora oggi continuano a sostenere una riforma generale. Per un periodo, la critica alla Fornero è stata persino lasciata alla Lega di Salvini. Per fortuna, oggi l'orizzonte si è ripopolato. Resta da capire se la mobilitazione dei sindacati, e della Cgil, arriverà a coinvolgere, e in che modo, le generazioni dagli anni Settanta ai Novanta, senza fermarsi al problema, grave anch'esso, degli over 55 senza lavoro.

La situazione è nota: nel 2032 il sistema contributivo creato dalla riforma Dini nel 1995 raggiungerà l'equilibrio finanziario, ma lo farà ai danni di milioni di persone nate dalla metà degli anni Settanta fino ai Novanta, e tutti coloro che hanno carriere lavorative discontinue in un mercato del lavoro ad altissimo tasso di precarietà. La perversione di questo sistema è stata perfezionata dalla Riforma Fornero che ha impedito agli esodati di andare in pensione, ha penalizzato gli autonomi della gestione separata dell'Inps, alzato l'età pensionabile bloccando al lavoro i dipendenti in età da pensione Secondo le simulazioni dell'Inps, i pochi «fortunati» che avranno avuto carriere lineari con pochi buchi contributivi potranno raggiungere una pensione più bassa del 25% rispetto ai genitori nati intorno al 1945. Il problema è senz'altro più grave perché è certo che l'importo sarà in molti casi addirittura inferiore all'attuale assegno sociale: 448,52 euro per 13 mensilità 5.830,76 euro annui nel 2015.

Si lavorerà per più di quarant'anni con redditi esigui per non avere, in sostanza, una pensione. I lavoratori poveri e discontinui avranno collaborato alla sostenibilità di un sistema che li esclude. Parliamo di una vera lotta di classe alla rovescia che si cerca irresponsabilmente di silenziare. A suo modo, Boeri sta dando un contributo di trasparenza. Certo le sue soluzioni sono parziali, al di sotto del problema. Pensare di affrontarlo con l’istituzione del «sostegno di inclusione attiva» (il Sia, un sussidio di povertà) agli over 55 da finanziare con il taglio in percentuale ai vitalizi a 4 mila persone e alle cosiddette «pensioni d’oro» di 250 mila persone è inadeguato.

Il rischio è di continuare quello «stillicidio di riforme» previdenziali, denunciato dallo stesso Boeri, aumentando la segmentazione del Welfare per categorie professionali e di età. Il problema avrebbe invece bisogno di soluzioni di sistema. L'Europa dell'austerità vigila tuttavia minacciosa e non lo permetterà. Le alternative non esistono: la crescita del Pil dello zero virgola a cui sono parametrati i rendimenti pensionistici è molto più bassa di quella preventivata. Il quinto stato di milioni di persone non potrà sopravvivere con il lavoro povero e precario, senza tutele e nemmeno un reddito minimo o di base.

Pensioni, la busta arancione è uno strumento di democrazia

L'Inps ha preparato le lettere che gli italiani ritroveranno nelle «buste arancioni» con l'estratto conto contributivo e la simulazione standard della pensione futura. Sono circa 150mila, su 7 milioni, le buste che saranno state consegnate in queste ore alle Poste per la spedizione.

Prevista dalla riforma Dini, la busta arancione è uno strumento per fare luce sulla condizione previdenziale degli italiani. «Abbiamo trovato tantissimi ostacoli perché, lo voglio dire con sincerità, c'è stata paura nella classe politica, paura che dare queste informazioni la possa penalizzare dal punto di vista elettorale» ha detto il presidente dell’Inps Tito Boeri. Una denuncia fondata.

In un’intervista rilasciata nel novembre 2014, l’ex ministro del lavoro Elsa Fornero sostenne che Mario Monti le chiese «di annullare la conferenza stampa con cui avremmo annunciato l’invio delle lettere per comunicare agli italiani l’importo delle future pensioni». Monti intendeva così nascondere i costi sociali reali della riforma previdenziale approvata dal suo governo, preparati dalla riforma Dini nel 1995.

Questa esigenza non era nuova. Il 5 ottobre 2010, con il governo Berlusconi in carica, Antonio Mastrapasqua - il predecessore di Boeri all’Inps - disse che, se l’avesse inviata, la busta arancione avrebbe provocato un «sommovimento sociale». Il concetto è stato successivamente ripreso, rovesciato in senso positivo e risignificato. È diventato uno dei tratti distintivi dei freelance con Acta e dei liberi professionisti ordinisti (architetti, avvocati e altre oggi nella rete della «Coalizione 27 febbraio»). «Il sommovimento sociale è arrivato» recitava lo slogan di un’iniziativa di Acta al Macro di Roma nel maggio 2011. Oggi potrebbe diventarlo anche per i precari.

L’espressione indica il nuovo conflitto sociale in atto. A distanza di più di vent’anni si è capito che il sistema contributivo produrrà costi sociali insostenibili per chi fa un lavoro indipendente (partita Iva o parasubordinati) e ha iniziato a lavorare dopo il 1996. Oggi è una condizione generale, non riguarda solo la «generazione anni Ottanta». Per Boeri si tratta di un’operazione «importante perché in Italia c'è una bassa cultura previdenziale e una consapevolezza finanziaria ancora più bassa, soprattutto fra i giovani».

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