lunedì 11 dicembre 2017

LAPO BERTI, COMPAGNO E MAESTRO






Giuseppe Allegri

Ricordo di Lapo Berti, compagno e maestro.

Abbiamo conosciuto personalmente Lapo Berti negli anni Zero della crisi globale. Poi, dalla tarda primavera del 2011, il nostro comune “quartier generale”, dove incontrarci e progettare mille e uno piani di nuova immaginazione sociale, era il Teatro Valle Occupato e i baretti delle vie adiacenti. Ma Lapo lo avevamo letto nei tempi precedenti, come uno tra i nostri fratelli maggiori. Maestro nel trasmetterci la consapevolezza di poter tenere insieme l'intransigente analisi critica del reale con la possibilità di trasformarlo quotidianamente questo reale.

Per questo seguimmo da vicino e collaborammo al progetto Lib 21 per la qualità della vita. Perché anche lì si provavano a sperimentare le coordinate di un mondo a venire, partendo da uno stretto legame con il lascito delle migliori sperimentazioni tentate nel segno dell'emancipazione individuale e collettiva. Così ci ritrovammo con Lapo in particolare sull'urgenza di pensare i luoghi sociali, cittadini, politici, culturali del Quinto stato che andavamo mappando tra coworking che nascevano, spazi pubblici abbandonati e restituiti a nuova vita insieme con quelle rovine nelle metropoli e nelle piccole e grandi città del “bel Paese” rigenerate da collettività che già affermavano una nuova idea di cittadinanza sociale.


Fu un tentativo convinto, eppure faticoso, di mettere in comune, non tanto lo scontento per i tempi che avevamo in sorte, quanto le possibilità di condividere pratiche sociali di miglioramento delle nostre, comuni, condizioni di vita, lavoro, studio, formazione, ricerca. Ci riuscimmo solo in parte, ma la determinata pacatezza e la raffinata convinzione che Lapo ci trasmetteva erano un continuo sprone per continuare a tentare sempre, anche nei diversi fallimenti. E la lucida, convinta, eppure sempre affettuosa, capacità di analisi e tensione propositiva di Lapo ci accompagnava anche dinanzi all'incapacità di tenere insieme vite ed esperienze ancora troppo deboli e incapaci di condividere fino in fondo un orizzonte comune.

Eppoi ritrovammo Lapo anche attraverso altri incroci, in particolare con i nostri compagni visionari di Obsolete Capitalism, sempre in prima linea a scandagliare sguardi in tralice di un futuro anteriore post-capitalistico, che si tratti di una permanente Rinascenza Deleuziana, o di una spietata analisi e critica delle tendenze post-democratiche iscritte nelle nostre società. E proprio lì trovammo l'intervista Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo nella quale Lapo ci segnalava, con la solita, schietta, empatica lucidità, forse il peggiore approdo di una «democrazia vuota», oltre a quello della disaffezione partecipativa: «la seconda reazione è ancora più insidiosa, perché tende a trasformare e addirittura a snaturare l'intero ethos democratico. È la risposta populista, che assume sempre connotati conservatori e antidemocratici, se non reazionari, anche quando le sue radici si allungano nel terreno della sinistra».

Qui siamo. Ora senza Lapo e la sua ragionevole, sorridente capacità di analisi e proposta. Avendo anche perso occasione di salutarlo per l'ultima volta, nonostante proprio solo un paio di mesi fa ci si sia sfiorati per le strade di questa malandata città, noi alla frettolosa rincorsa di un appuntamento rispetto al quale eravamo già in abbondante ritardo, Lapo pronto a salire su di un tram già in partenza. Eppoi, maledetti i tempi compressi di queste vite, neanche una telefonata, convinti che di lì a poco ci sarebbe capitato di rivederci, in qualche baretto vicino a qualche altro teatro da riaprire alla vita, che invece è sempre troppo breve. Eppure fingiamo di non saperlo. Che la terra ti sia lieve, caro Lapo.




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